Il tempo sembra non passare mai, in quelle notti feroci, di pianti disperati. Durante le quali ripassi a memoria tutto quello che potrebbe non andare: pannolino? Asciutto. Sederino? Lavato. Coccole? A profusione. Tetta? Abbondantemente concessa.
E percorri chilometri dal bagno al salone ninnando, cantando, strapazzando, a volte piangendo, mentre scacci come un pensiero molesto la cronaca nera di madri che gettano neonati in lavatrice…
Sono ovunque, occupano lo spazio vitale nel lettone, in bagno (fare la cacca da sola è un lusso di cui mi sono riappropriata da poco), nelle conversazioni, nei pensieri. Quando sono con te non vedi l’ora di liberartene per due ore di chiacchiere tra amiche. Quando finalmente conquisti due ora d’aria, ti aggiri smarrita per locali frequentati da gente troppo giovane e troppo rumorosa, salti sulla sedia come una molla ad ogni “maaaammaaaaa” e finisci per tornare a casa con una barretta di cioccolato da mangiare insieme il giorno dopo, per lenire i sensi di colpa.
Sembra che non crescano mai, lenti come gli alberi di certe foreste silenziose che si allungano implacabili alla ricerca della luce del sole. E poi… BUM! Una chioma svetta improvvisa sulle altre, come fosse cresciuta tutta insieme in una notte.
Arriva il momento in cui non ne puoi più di cambiare pannolini, asciugare pipì dappertutto, soffiare nasi, lavare sederini, allacciare stringhe, infilare maglie e pantaloni, imboccare, tenere mani, cullare, raccontare fiabe, cantare ninna nanne…
Finché arriva un giorno, in cui alzi distratta lo sguardo dal cellulare, e ti ritrovi per casa un ragazzino che si prepara la colazione da solo, che usa la Smart TV meglio di te, che ti ruba il cellulare per chiamare gli amici ed arriva persino a confortarti quando sei troppo triste o troppo stanca. “(Stasera facciamo un piccolo aperitivo, mamma”. Lui sì che sa come confortarmi.)
E non è più minacce e ricatti morali, punizioni e patte sul sedere.
Hai di fronte un adulto di un metro e trenta, con sentimenti enormi che scappano da tutte le parti, come acqua in un secchio bucato, e tocca a te insegnargli come elaborarli (ci vorrebbe un adulto qui… cazzo! Ma l’adulto sono io… cazzo!).
Un pre-adolescente che oscilla ancora tra la visione di te come Wonder Woman (ancora stento a credere che adesso sono io quella con i poteri magici. Sono una madre, niente vale come un bacino sulla bua, o un abbraccio in cui sciogliersi in pianto per non farsi vedere dai compagni) e di te come quella scassa cazzi della signorina Rottermaier.
“E basta Ma, ho capito! Non ne voglio più parlare!”
Sette anni e mezzo, vorrei ricordare.
Cambiano il lessico, le passioni, le posture.
Si ride insieme, come mi capita con poche persone.
Si sgarra insieme (pizza sul divano, patatine prima di cena…)
Si ozia insieme, in quelle domeniche mattina perfette, preludio della felicità.
Si piange insieme, di fronte a certi film, alternando singhiozzi e pop corn.
Si ascoltano insieme le canzoni del momento e quelle mie che voglio diventino patrimonio anche suo.
Manca poco ormai, che ci scambiamo scarpe e libri da leggere.
E se ti guardi indietro quasi, quelle notte feroci, nemmeno le ricordi più.
Rimane questa squadra bislacca, fatta di giocatori e tifosi che alternano continuamente i loro ruoli.
Come quella volta che non riuscivo ad alzarmi da letto per il mal di schiena, e Davide si è messo a fare il tifo per davvero. “Ma-mma, ma-mma…!”
Come facevo io quando lui era piccolo, per convincerlo a fare la cacca nel vasino.
Davvero abbiamo avuto un vasino in questa casa?
I ruoli si invertono, e tu non credevi sarebbe successo così presto.
Le prime volte ti scorrono tutte davanti agli occhi: e anche se non è la fine del mondo, ad ogni progresso e ad ogni distacco, in fondo, si muore un po’.
“Everytime we say goodybye, I die a little”.
Addio al biberon, addio al pannolino, addio al lettone, addio al ciuccio, addio alle rotelle, addio ai braccioli, addio all’asilo, addio alle fiabe della buonanotte, addio all’insopportabile Peppa Pig (questi sono i veri traguardi da festeggiare).
E scopri che ogni addio in realtà non crea vuoti, ma nuovi spazi di conquista, per te e per lui.
Nuovi terreni di autonomia e silenzio. Dove non rimbomba più il rumore di piedi scalzi sul pavimento e “mammamammamammamammamammamammamammamamma”.
Ma chiacchere fra adulti e bicchieri di vino, mentre lui gioca in camera sua o dorme da un amico.
Lui cresce un po’, tu muori un po’ e rinasci un po’ e impari che non è mica l’amore il motore del mondo, no.
E’ l’autonomia, che l’amore lo lascia respirare.
E mentre lui esce a divorare il mondo a piene mani, anche tu finalmente prendi fiato.
Respiri a fondo quest’aria nuova, che sa di sole e caffè, e attendi che concluda la sua orbita, ogni giorno un pochino più ampia, lontano da te, già. Ma che torna sempre, inevitabilmente da te.
E forse non lo sai, ma pure questo è amore.